Nei cinema, da giovedì 27 ottobre, il lungometraggio Enclave del serbo Goran Radovanović: racconto della vita di una enclave serba in un villaggio albanese del Kosovo post-bellico. Storia di un matrimonio e un funerale in due comunità divise dall’odio e del rapporto tra due bimbi, Nenad e Bashkim, come specchio del conflitto e unico luogo in cui può nascere il cambiamento.
Il film, vincitore di Bergamo Film Meeting 2016, esce nelle sale italiane distribuito da Lab 80 film. Protagonista è Nenad, un bambino serbo che vive a Vrelo, villaggio albanese nel Kosovo post-bellico. Il piccolo abita in una frazione isolata con il padre e il nonno, gravemente malato, a cui il bambino è molto affezionato. Ogni mattina va a scuola viaggiando in un blindato delle Nazioni Unite, che lo protegge dalle possibili aggressioni, e nella sua aula segue le lezioni da solo con la maestra. Tutti gli altri bambini del villaggio sono albanesi e uno di loro, Bashkim, è carico d’odio nei confronti di tutti i serbi, che ritiene responsabili della morte del padre. Un giorno, mentre la comunità albanese celebra un matrimonio, il nonno di Nenad muore e il bambino arriva ad attraversare le linee nemiche pur di riuscire ad avvisare il prete. Mentre sulle strade del villaggio matrimonio e funerale si incrociano come due universi paralleli incapaci di dialogo, Nenad si trova improvvisamente faccia a faccia con Bashkim: nelle mani dei due bambini la possibilità di riprodurre odio e divisione oppure di dare un piccolo, nuovo corso alla storia.
«Con questo film ho voluto indagare il nodo centrale della disputa serbo-albanese - ha detto il regista, Goran Radovanović -, che quindici anni fa ha portato a guerra, crimini e distruzione. Io intendo far nascere questa domanda: è possibile la coesistenza di queste comunità, in una realtà segnata dalla presenza di enclave, isole abitate da minoranze cristiane circondate da un mare di maggioranza musulmana? La mia risposta è di una chiarezza cristallina: l’odio, basato sulla paura del diverso, permane ancora fra le due comunità. La paura è l’assenza di amore. Per questo l’eroe di questa storia è un ragazzo di dieci anni che osa fare qualcosa di inimmaginabile per cristiani e musulmani del Kosovo: cercare un amico nell’altra comunità. Ho voluto fare un film pacifista, basato su una storia di perdono e amore».
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