Trent’anni di lavoro in un ufficio municipale hanno reso Watanabe un burocrate indifferente che trascina inutili giornate. Ma quando scopre di avere un cancro che gli lascia pochi mesi di vita, prima sprofonda nella disperazione, poi tenta di abbandonarsi a una notte di piaceri, infine si consacra a una causa civile, riscattando la sua esistenza. Aperto e chiuso da un’impietosa raffigurazione dell’abbrutimento impiegatizio, Vivere descrive una discesa agli inferi che si converte in un racconto morale senza moralismi. Kurosawa conferisce alla narrazione il respiro di un grande romanzo metropolitano con audaci ellissi temporali, inattesi flashback e squarci visionari. Memorabili, per l’asciutta crudeltà, le sequenze della sala d’aspetto e del falso responso medico. “Io lo trovo forse il più bello, il più sapiente e il più commovente dei film giapponesi” (André Bazin).