Storie di confini. Narrazioni delle migrazioni, politiche dell’immagine

Giuseppe Previtali

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Il fenomeno delle migrazioni contemporanee costituisce ad oggi uno dei più pressanti punti dell’agenda politica nazionale ed europea. Il muoversi e il ricollocarsi di migliaia di persone sta contribuendo a riscrivere la geografia umana del continente, mettendo al contempo alla prova non solo strumenti legislativi ma anche (forse soprattutto) il nostro posizionamento etico. Anche per chi si occupa di immagini (e, più specificamente, di cinema) si percepisce l’urgenza di confrontarsi con questo tema spinoso, nella convinzione che – come osserva acutamente Jacques Rancière – estetica e politica siano indissolubilmente legate.

A partire da questa convinzione l’intervento si propone di offrire una panoramica di alcune delle questioni chiave del dibattito legato al rapporto fra cultura visuale contemporanea e migrazioni (di conseguenza ipotizzerei una sua collocazione in apertura alle giornate di studio). In particolare, si cercherà di evidenziare come la posta in gioco quando si elabora questo tema dal punto di vista visivo siano proprio le narrazioni dell’identità costruite dai media. Un insieme di racconti che il cinema, nel suo essere luogo di elaborazione del pensiero, è chiamato a interrogare e rispetto al quale percepisce l’esigenza di posizionarsi.

Per mettere a fuoco queste ed altre questioni si analizzeranno prima di tutto due prodotti visivi non specificamente filmici (ma facenti parte di quel globo di esperienze cinematografiche rilocate di cui parla Francesco Casetti), le web series La scelta di Catia (2014) e Com’è profondo il mare (2016) che affrontano il medesimo tema in modo diametralmente opposto (la prima in senso trionfalistico, per pubblicizzare i successi dell’operazione Mare Nostrum, la seconda in modo fortemente critico).

Il medesimo set di strumenti analitici verrà poi messo alla prova su alcuni dei testi che in modo più esplicito si sono confrontati con il tema migratorio, per cominciare a verificare come anche il cinema abbia messo a fuoco queste questioni. In questo senso l’analisi di un film come Fuocoammare (2016) risulta cruciale per ricapitolare le modalità di messa in scena e spettacolarizzazione del fenomeno migratorio, mentre Io sto con la sposa (2014) si presenta come un tentativo di problematizzare le politiche securitarie messe in atto ai bordi e all’interno dello spazio Schengen.

Giuseppe Previtali è dottorando in Studi Umanistici Interculturali presso l’Università degli Studi di Bergamo dove è anche cultore della materia in Storia e critica del cinema e Cinema e arti visive. I suoi principali interessi di ricerca riguardano le forme estreme della visualità contemporanea e il rapporto fra cinema e trauma soprattutto in relazione al consumo di genere. Ha partecipato a diversi convegni internazionali (Università di Roma Tre, Udine, Salerno, Milano, Bologna) e pubblicato su Elephant&Castle, Rapporto Confidenziale, Ol3Media, Cineforum, Segnocinema, Bianco&Nero, Arabeschi, Schermi, Annali dell’Università degli studi di Ferrara). Di prossima pubblicazione sono una monografia per Aracne (Pikadon. Sopravvivenze di Hiroshima nella cultura visuale giapponese) e contributi su Cinergie e Wide Screen.

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