Il film segue gli ultimi giorni di vita di Giovanni de’ Medici, detto “delle Bande Nere”, “nobile e valoroso capitano” (scrisse l’Aretino), dell’esercito di Papa Clemente VII, “audace, impetuoso, di gran concetti” e unico “capo, a chi li soldati vadino più volentieri dietro” (scrisse Machiavelli). Nel 1526, Giovanni combatte per fermare la marcia su Roma degli Alemanni dell’imperatore Carlo V, guidati da Georg von Frundsberg, ma è ferito da un’arma da fuoco, perde una gamba, e dopo 4 giorni di agonia muore a Mantova a 28 anni. Il mestiere delle armi è un film sulla morte divisa tra materialità della carne e sacrale eternità, la morte che strazia un giovane eroe la cui vita si fa teatro del contrasto fra la guerra tradizionale, quella dell’etica e dell’epica cavalleresche, e la nuova guerra delle vili armi da fuoco che consentono al meno prode di prevalere, dell’artiglieria a causa della quale “la militar gloria è distrutta” e “il mestier de l’arme è senza onore” (scrisse Ariosto). Sullo sfondo della vita di Giovanni, l’arte della guerra entra in contrasto anche con le milizie mercenarie, e soprattutto con gli intrighi, gli inganni, le macchinazioni della politica, di Alfonso d’Este e di Federico Gonzaga, che favorirono per calcolo personale l’avanzata dei Lanzichenecchi. Il film è un dolente requiem in morte di un giovane uomo, e in morte di un’epoca, di una civiltà, di un mondo.
Il restauro è stato realizzato nel 2019 dal Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e dall’Istituto Luce-Cinecittà, ed eseguito presso i laboratori di Istituto Luce-Cinecittà a partire dal negativo originale 35mm e dal disco magnetico-ottico originale Dolby Digital 5.1. Le lavorazioni sono state supervisionate dal direttore della fotografia Fabio Olmi. La supervisione al restauro del suono è stata realizzata a cura di Federico Savina.