Ruth Zylberman ha scelto un edificio parigino di cui non sapeva nulla, il 209 di Rue Saint-Maur. Per diversi anni ha indagato con l'obiettivo di ritrovare i vecchi inquilini del palazzo, per poter ricostruire la storia di quella che era stata una piccola comunità ebrea durante l'occupazione nazista. Ha ritrovato gli ex abitanti del 209 nelle periferie di Parigi, a Melbourne, New York e Tel Aviv. Li ha filmati insieme all'edificio e alle sue pietre, riprendendoli come un organismo vivente, per poter comprendere che cosa resta delle loro vite "interrotte".
«Mi sono ispirata alla corrente delle microstorie, nata in Italia con Carlo Ginzburg — dice Zylberman —. Ho fatto ricerche per molti anni, la mia amica storica Claire Zalc mi ha aiutato indicandomi le fonti: i documenti del censimento, i rapporti di polizia, gli archivi del commissariato e delle associazioni».
Vedere «Les enfants du 209 rue Saint-Maur - Paris Xème» è un colpo al cuore. Concetti astratti come «persecuzione» e anche «Shoah» prendono una dimensione fisica, sensibile. «Noi artisti e storici dobbiamo trovare forme che ci permettano di uscire dalle formule generiche sul “dovere di memoria"». Anche Claude Lanzmann in «Shoah» è partito dai luoghi, «lì era Auschwitz, l’orrore quando si è già consumato. Ma che cosa è successo prima? Persone catturate in luoghi che non solo assomigliano ai nostri, ma che esistono ancora oggi».