Bianca è una transessuale di 39 anni. Vive a Milano dal 2009 e di professione fa la prostituta.
Da vent’anni anni è fidanzata con Natasha, una trans di origini giapponesi che vive temporaneamente in Brasile.
Il loro legame è molto forte e la distanza non lo ha indebolito.
Il film racconta la loro storia d’amore fatta di lunghe telefonate e ancor più lunghe attese.
Per questioni lavorative e familiari non si vedono da quasi due anni. Il tempo passato senza Natasha è scandito dai clienti, per lo più abituali, e dalle loro richieste. Col tempo Bianca si è anche affezionata a loro ma i suoi pensieri sono sempre per Natasha, che finalmente sta tornando.
Il film è la terza parte di una trilogia “domestica”, ovvero tre film girati integralmente all’interno di tre ambienti domestici in altrettanti formati e modalità narrative diverse.
La trilogia inizia nel 2018 con Dulcinea, opera di pura finzione interamente girata in 16 mm colore e caratterizzata da una ambientazione milanese in cui si narra il rapporto tra due solitudini e del loro tacito accordo.
Il capitolo successivo è Pierino, documentario girato in VHS colore e incentrato su di un anziano signore appassionato di cinema all’interno di una rigida struttura cinematografica.
Infine, la trilogia si conclude con La casa dell’amore, girato in digitale, in cui emerge la figura di Bianca, transessuale italiana che vive a Quarto Oggiaro, nell’hinterland milanese.
La casa di Bianca ha sempre le persiane semi abbassate ed è illuminata esclusivamente da candele perché non c’è corrente elettrica. Sembra sempre di essere all’ora del crepuscolo.
La sua vita si svolge prevalentemente nei 20 metri quadrati del suo spoglio soggiorno e la dimensione dello spazio in cui Bianca si muove è determinante: ambiente stratificato in cui si sono sedimentati nel tempo oggetti, libri, poster delle mostre del padre scultore e ricordi che rimandano in modo evidente alla sua identità ed al suo percorso.
Altrettanto determinante è l’utilizzo continuo del telefono: oggetto centrale nella sua vita sia per questioni lavorative - per gestire gli annunci e rispondere alle chiamate dei clienti - che per gestire la distanza che la separa dalla compagna Natasha.
Il film racconta un punto fermo – Bianca dentro il suo appartamento – e di come da questa apparente staticità filtri all’interno dell’abitazione un intero piccolo mondo fatto di abitudini, incontri, cicli e
imprevisti in attesa del ricongiungimento con Natasha, sua compagna di una vita.
Ci è voluto circa un anno di lavoro per conoscere Bianca prima dell’inizio delle riprese.
L’ho contattata tramite un sito per incontri on line, perché stavo cercando persone che lavorassero in casa.
Avevo in mente diverse possibilità per il film che doveva concludere la trilogia, non necessariamente una figura legata al mondo transessuale o della prostituzione. L’importante era trovare qualcuno che avesse la casa come snodo nevralgico delle sue attività e questa era solo una delle possibili piste da seguire.
Bianca mi ha permesso di conoscere la sua vita e tutte le sue frequentazioni. È stato un lavoro lento, in cui sentivo crescere da parte di entrambi fiducia e stima.
Con lei ero stato molto chiaro fin dall’inizio, non promettendole certezze sulla realizzazione del film.
Per me era fondamentale capire se ci fossero i presupposti per provare a iniziare a lavorare su un progetto che anche per Bianca avrebbe comportato fatica ed un mettersi in discussione.
Più il tempo passava e più mi convincevo che le mie remore a toccare un tema così delicato si sgretolavano grazie alla sua spontaneità e naturalezza nel suo donarsi senza mai chiedere cosa avessi deciso di fare.
Solo successivamente, quando la nostra conoscenza e l’idea di come avrei voluto trattare l’opera prendevano forma, le ho fatto conoscere la troupe, con cui è subito entrata in sintonia e confidenza.
Il lavoro si è poi svolto in molto naturale, e anche nelle sue parti più costruite, non abbiamo mai avuto la percezione di mistificare qualcosa, ma di registrare il naturale corso degli eventi e la spontanea e gratuita bellezza di chi ci ha permesso di entrare in punta di piedi nella sua vita.
Ho voluto girare un film fotograficamente equilibrato e rigorosamente composto nelle inquadrature con pochi e calcolati movimenti, tramite il quale ci si addentra nella vita di Bianca lentamente, senza fretta, in una continuità narrativa frammentata e dissolta in un unico affresco. Non è rilevante indagare
nel suo passato e nemmeno approfondire temi e risvolti psicologici del personaggio.
Il film restituisce la protagonista all'interno del suo habitat domestico nella sua delicatezza ed unicità, senza redenzione o sensi di colpa.