L’ultimo uomo, un superstite che si ripete in modo ossessivo in una quotidianità che è tanto scarna quanto simbolica.
È Abacuc, personaggio protagonista dell’omonimo film di Luca Ferri, regista che nei suoi lavori si muove in ambiti visivi inusuali e spesso spiazzanti, realizzando un cinema che è in continua trasformazione. Abacuc, che è stato selezionato al Torino Film Festival, al Festival internazionale di Mar del Plata in Argentina e al Filmmaker di Milano, è un lungometraggio in bianco e nero, realizzato in Super 8 e prodotto da Lab 80 film, che in un equilibrato intreccio fatto di richiami e citazioni, ruota per 82 minuti intorno alla incredibile figura rappresentata dal protagonista, alter ego di un personaggio davvero esistente.
Si tratta di Dario Bacis: 198 chili e 42 anni, uno sguardo fisso e glaciale (ma non per questo feroce o disumano), è già stato protagonista di altri due film di Ferri.
Questa volta è Abacuc, un uomo che passa il suo tempo in una immobilità distaccata da qualsiasi emozione, si reca prevalentemente al cimitero, in parchi tematici dell’Italia in miniatura o vicino ad architetture utopiche. Vive in una casa ferroviera e non proferisce mai parola, l’unica voce che si sente è quella femminile e fuori campo che interviene quando, strappato per un momento alla sua solitudine catastrofica, Abacuc alza una cornetta telefonica con il filo staccato: la donna rimane celata, comunica tramite citazioni letterarie e si rivelerà un cul de sac come l’esistenza di Abacuc, perché è soltanto il suo sdoppiamento.
Vive all’interno di geometrie rigorose, la sua esistenza è una sorta di sinfonia inceppata: Abacuc è una marionetta senza spettatore, recita l’ultima pièce possibile.
Dice Luca Ferri: «Abacuc, o Dario Bacis, come lo si vuol chiamare, ha una forza visiva unica, sembra un dipinto di Piero della Francesca. È il mio ecce homo, un individuo capace di condensare in sé il senso stesso del film: una riflessione sulla condizione del cinema come mezzo espressivo. In quanto sopravvissuto alla catastrofe, che vive nel continuo inseguimento di nulla, Abacuc rappresenta il bisogno dell’arte cinematografica di autoestinguersi e implodere in sé stessa. Non può essere che così, visto il suo stato oggi».
Il film diventa una metaforica riflessione, un pensiero ironico e inaspettato sulla storia e l’essenza stessa del cinema. Non secondaria, in questa prospettiva, è stata la scelta del Super 8: in un’epoca in cui il cinema rincorre in modo spesso acritico le ultime novità tecnologiche, la ripresa in Super 8 è un ritorno all’inizio, una riduzione all’essenza.
Le musiche originali di Abacuc sono del Maestro Dario Agazzi: più che una colonna sonora una partitura contemporanea, in cui una sorta di requiem da organetto segue la ripetitività di Abacuc in un accompagnamento sonoro che sa quasi di vecchie chincaglierie.
Luca Ferri, bergamasco classe 1976, già autore di metaromanzi e regista autodidatta, prima di Abacuc ha realizzato quattro mediometraggi e tre lungometraggi. Nel 2012, con Magog o epifania del barbagianni, ha partecipato al Festival del Nuovo Cinema di Pesaro, nel 2013 il suo Habitat, un dialogo con il grande regista italiano Franco Piavoli, ha partecipato al Torino Film Festival.
Il film è stato selezionato al Torino Film Festival 2014, nella Sezione Onde; al Festival Internacional de Cine de Mar del Plata 2014, in Argentina, nella Sezione Italia Alterada 71⁄2 (dove viene proiettato a poche ore di distanza dall’anteprima italiana di Torino), e al Filmmaker Festival di Milano, edizione 2014, nella Sezione Prospettive.