Quale è l’immaginario entro il quale andrebbe poggiata una leggenda perché possa continuare ad essere raccontata? Questo film è il risultato di due mesi passati in Valle Camonica, zona montana che interessò l’uomo fin dalla preistoria, alla ricerca delle tracce lasciate dal patrimonio immateriale. Le persone coinvolte nel film sono il film stesso, luoghi di una topografia filmica, luoghi parlanti, luoghi storie, per raggiungere le quali bisogna servirsi di svariati mezzi di trasporto, metafore di narrazione.
Ogni volta che si racconta una leggenda la si ricrea, allora questo San Martino sa di acqua elettrica e dell’olio di un’officina meccanica.
Ho cominciato il mio percorso dedicandomi al montaggio, nella convinzione che conoscere a fondo uno degli aspetti tecnici più importanti dell'audiovisivo mi avrebbe aiutato in futuro a padroneggiare la narrazione del mio girato. Kubrick sosteneva che fosse sufficiente conoscere le basi della fotografia per poter fare un film, ma quando si parla di documentari trovo sia più interessante essere solidi nella costruzione libera del racconto. In questa fase iniziale del mio lavoro d'autrice (prima, innegabilmente e per molto tempo, sono stata soltanto un'esecutrice di visioni altrui) mi interessa in particolar modo indagare come nel lavoro documentaristico si possa sviluppare un intreccio tra l'indagine sul reale e il tessuto narrativo che da essa si muove in fase di montaggio. Nel corso della lavorazione del mio ultimo, e forse in realtà primo, lavoro, svolto in Valle Camonica, mi sono dedicata all'incontro e all'osservazione delle persone che ho deciso di coinvolgere nel progetto, vivendo in loco per due mesi. Ho scelto situazioni e persone in base ad un'idea teorica sviluppata attraverso un'ampia ricerca bibliografica, oppure, a volte, semplicemente sotto l'ala del caso. Come mi disse un giorno la responsabile del progetto, Elena Turetti, chi cerca viene poi trovato. Dopo questa prima fase, e dopo essermi costretta a non girare più nemmeno un'inquadratura, ho lavorato in montaggio su di un'accurata selezione del materiale, scremato più e più volte, setacciato. Quello che è emerso, o che non si è perso, caduto, nelle maglie dell'impianto del mio modo di lavorare, si è poi costruito da solo. La narrazione, l'intreccio, i temi, sono andati ben al di là delle basi da cui era partita la mia ricerca e questo ha contribuito a rafforzare un'idea teorica che mi porto dietro dai primi anni alla Scuola Civica di Cinema, quella cioè che per quanto vogliamo imporre un nostro taglio autoriale all'osservazione del reale sarà poi la realtà, o meglio il girato realizzato, come porzione di realtà, a imporsi su di noi: l'idea che i film in fondo si facciano da soli, prendendosi una rivincita sulla parzialità intrinseca all'osservazione filmica. E che il ruolo dell'autore sia forse quello di fare in modo che questa rivincita, lasciando che il film prenda una forma finita, accada. (Silvia Poeta Paccati)